Arrigo Sacchi su La Gazzetta dello Sport, parte dalla considerazione che i giovani non amano più il calcio come una volta e prova a dare una spiegazione: non genera la bellezza e il divertimento che loro chiedono. Ecco quanto si legge:

“È un salto culturale quello che deve compiere il calcio italiano. Il guaio è che viviamo in un Paese che ha paura del rinnovamento e dove ha fatto scuola il proverbio: 'Chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quello che lascia ma non quello che trova'”.

"Prendiamo la professione dell’allenatore. Perché, per fare questo mestiere, gli ex giocatori di Serie A o di B devono essere avvantaggiati rispetto agli altri? Ci sono pochi posti alla scuola di Coverciano ed è necessaria una selezione? Benissimo, si faccia sostenere un serio esame d’ingresso: solo chi merita può entrare. Dove sta scritto che un farmacista o un idraulico, che hanno la passione per il calcio, lo seguono e lo studiano con impegno da tanti anni, saranno allenatori meno bravi di un calciatore? Liberalizziamo, eliminiamo il corporativismo, spalanchiamo le porte, apriamoci al futuro. Sapete che cosa succede se gli allenatori sono sempre ex calciatori? Che, nel migliore dei casi, ripropongono idee che hanno imparato quando giocavano da allenatori che, a loro volta, le hanno riprese dai loro vecchi maestri. È una ruota che gira e non si ferma mai, ma il suo è un movimento vizioso: così non si progredisce, perché le idee sono sempre le stesse e non c’è innovazione, non si migliorano le conoscenze e, logicamente, non si raggiunge la bellezza, il divertimento, il momento sublime dell’arte che il calcio può (e deve) dare".

"Ripropongono sempre le stesse idee, imparate dai vecchi maestri. Così non si progredisce".

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