8 futuristici stadi da 6,5 miliardi di dollari e 400,000 mila posti a sedere, al termine dell'edizione, rimarranno a disposizione di un paese composto da 2,2 milioni di abitanti, praticamente quanto la città di Roma. Un paese cove gli operai che li hanno costruiti devono sottostare alla legge della Kafala, vale a dire che i datori di lavoro hanno il controllo sui loro permessi di soggiorno e alcuni dei diritti civili, tant'è che i lavoratori non hanno nessuna possibilità di cambiare se non autorizzati. Anche in caso di violenza. Il principale promotore dei Mondiali in Qatar è stato Mohammed Bin Hammam, presidente della Federazione Calcio asiatica nel 2011, anno di assegnazione della manifestazione. Dopo quell'anno però, quest'ultimo venne radiato dalla FIFA, scomparendo di fatto dalla scena del calcio mondiale a causa di alcune buste contenenti 40 mila dollari ciascuna ritrovate nelle stanze di un albergo alle Bahamas e destinate ai presidenti delle federazioni calcistiche dei Caraibi affinchè lo votassero alla presidenza della FIFA, a cui Bin Hammam si era candidato. Il dirigente Qatariota, dopo un lungo ricorso al TAS di Losanna, vince la causa ma il suo nome era troppo scomodo per la FIFA, che nel dicembre 2012 lo bannò una seconda volta. Motivo? Il conflitto d'interesse tra i ruoli di presidente della federcalcio asiatica e di membro esecutivo della FIFA, che Bin Hammam ha ricoperto nello stesso momento. Ma il tentativo da parte della FIFA di prendere le distanze da Bin Hammam, dipingendolo come una sorta di pecora nera non funzionò, tant'è che il The Times nel 2014 pubblicò quelli che vennero soprannominati “FIFA files”, ovvero migliaia di messaggi, documenti e-mail che dimostrano un giro di tangenti pari a 5 milioni di dollari per agevolare la candidatura del Qatar. 

 

La FIFA a questo punto si vide costretta ad aprire un'inchiesta interna, grazie alla quale il massimo organo del calcio mondiale si assolse da sola, parlando di “aspetti dubbi” che non hanno influenzato la decisione finale. Ma c'è un altro aspetto inquietante di questo Mondiale: i preparativi. Alcune testate infatti parlano di centinaia e centinaia di morti tra le persone impegnate nella costruzione di stadi e infrastrutture, un dato che il governo qatariota ha tentato invano di nascondere a tutti i costi. In Qatar le persone che riportano la nazionalità qatariota sulla propria carta d'identità sono appena il 12% della popolazione totale. La stragrande maggioranza della popolazione è straniera, utilizzata come semplice manodopera per la costruzione di grattacieli, isole artificiali e resort a 5 stelle. Si tratta per lo più di immigrati provenienti dall'India, circa 650.000. Dal Nepal 350 mila, dal Blangadesh 280 mila, ma la totalità della ricchezza appartiene solo ad una piccolissima fetta di popolazione. I lavoratori stranieri infatti non hanno nessuna possibilità di cambiare la propria posizione sociale e ottenere la cittadinanza è praticamente impossibile dato che si passa quasi esclusivamente per via ereditaria.  Nel 2015 il Washington Post ha pubblicato un articolo in cui sosteneva che i morti in Qatar, dal dicembre 20210, erano già 2.200, salvo poi ritrattare dietro pressione del governo di Doha. Ma da un'indagine più approfondita salta all'occhio che il 74% delle persone morte in territorio qatariota, come riportato dal governo, sarebbe morta per cause sconosciute, rinnegando di fatto morti e cause, al punto che dichiara “nemmeno una vita è andata persa nell'organizzazione del Mondiale". Nel frattempo, nonostante la tanta indignazione e qualche debole tentativo di boicottaggio, il Mondiale in Qatar è pronto a partire: frutto di un investimento totale di 250 miliardi di dollari, di cui 6,5 per gli stadi. 

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