Giovanni Sartori si racconta a Ivan Zazzaroni. In una lunga intervista, il responsabile dell'area tecnica del Bologna racconta la sua carriera da dirigente. Partita dal ChievoVerona, prima con Luigi e poi Luca Campedelli, poi gli anni di Bergamo e i dissapori con Gasperini, fino al Bologna

Sulle colonne del Corriere dello Sport, Sartori inizia proprio parlando della prima esperienza a Verona: “Un giorno il presidente Luigi Campedelli mi chiama e mi fa ‘smetti di giocare, aiuta Bui (allenatore di quel Chievo, ndr)'. Pensai che o mi considerava una pippa, oppure vedeva qualcosa che non vedevo. Eravamo in interregionale. Poi, quando siamo saliti di categoria, Luigi mi chiama di nuovo e mi dice ‘lascia stare la panchina, ci servi come direttore sportivo’. E così è iniziata la mia carriera nella dirigenza". Era il 1992: Sartori rimarrà al Chievo fino al 2014, anno in cui saluta e va all'Atalanta.

Non ho tradito il Chievo, è che semplicemente a Verona ormai facevo parte dell'arredamento”. 8 anni a Bergamo, che Sartori racchiude in una frase “Abbiamo fatto bene, anzi benissimo e la risolvo così”. Poi, a fine maggio dell'anno scorso, il passaggio al Bologna

Sinisa l'ho vissuto troppo poco. C'era fiducia. A Casteldebole mi dicevano ‘Vedrai che tornerà come dopo la prima operazione’. Di lui conservo il ricordo di qualche chiaccherata, anche intima”. Da Sinisa a Thiago Motta: “Motta mi incuriosiva parecchio. Lo seguivo con attenzione perchè a Spezia c'erano tre giocatori dell'Atalanta. Faceva un calcio coraggioso, propositivo. É stata una scelta collettiva. Thiago è un grande lavoratore

Sartori conclude poi l'intervista ricordando il suo più grande rimpianto da dirigente: “All'Atalanta avevamo preso Drogba. Poi saltò per un'inezia

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