Sven Goran Eriksson, ex allenatore della Lazio, al Messaggero ha voluto ricordare Sinisa Mihajlovic dopo la sua scomparsa a causa della leucemia:

«Sarà impossibile dimenticarlo, è uno dei giorni più tristi della mia vita perché Sinisa non si meritava questo destino. Era un grande giocatore e un grande uomo, non doveva morire a 53 anni, così presto. Non è giusto».

IL SOGNO DI SINISA

«Tutto, e non solo allo sport, insegnamenti a grandi e piccini, la voglia di non mollare mai fuori e dentro al campo, in nessun momento. Sino all’ultimo respiro. Ha sempre lottato, sempre, anche contro questa maledetta malattia. Ha fatto una buona carriera da tecnico e non era finita, doveva continuare ancora a lungo. Purtroppo, il destino è stato crudele, anzi spietato. Io ero convinto che sarebbe guarito e che, prima o poi, lo avrei rivisto sulla panchina della Lazio. Era il suo sogno, era anche il mio sogno».

LA SUA GRINTA

«Certo, bastava guardare il suo sguardo. Era balcanico, veniva da una famiglia umile e aveva vissuto la guerra nell’ex Jugoslavia che lo aveva forgiato. Aveva il fuoco dentro più di chiunque altro. E poi era un vincente, per lui non esisteva perdere nemmeno, mai, nemmeno in allenamento, figuriamoci nelle partite importanti che abbiamo disputato in quelle stagioni straordinarie, indimenticabili. E trasmetteva questa forza a tutto il gruppo, questa era la sua grande forza». 

CALCI PIAZZATI

«Per me le batteva meglio di Pirlo. Molte volte, alla fine di ogni seduta, si fermava a calciarle dalla trequarti con i ragazzi che lo ammiravano. Era troppo forte, aveva un piede fatato, ma ogni risultato era anche frutto del suo sacrificio e del suo spirito. Si allenava ed esercitava duramente, e lo faceva ogni giorno con lo spirito del ragazzino che tirava i primi calci e sognava una carriera da grande calciatore».

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