Siamo a metà degli anni ’60. Cesare Rubini discute da diversi anni con Aldo Giordani, sempre sullo stesso tema: “…macché schemi, in America conoscono Ia tecnica e basta. In campo i giocatori fanno quel che gli pare. Al massimo avranno qualche tema, ma niente di più!”.

Rubini è talmente convinto della sua tesi che decide di andare oltreoceano per sostenerla. La realtà che troverà lo smentirà clamorosamente. Non poteva aprire un browser e guardare un video online, doveva toccare con mano e vedere di persona cosa accadeva nei college americani.

Rubini è quindi ospite dell’head coach della St. John University. “Sembrava di parlare con il titolare della cattedra di fisica nucleare. Mi ha ricevuto nel suo studio. Ha sei assistenti sotto di lui”.

L’aria che Rubini respira subito è quella di un luogo dove il basket è paragonabile ad un culto. Organizzazione e studio maniacale dei dettagli, della tecnica e di quegli schemi che lui credeva essere solo del basket europeo.

Cesare Rubini (ph. Scomunicando.it)

Da Campione d’Italia uscente con la sua Olimpia Milano è lì per imparare. Impara che gli allenatori delle varie Università studiavano i singoli giocatori avversari, andando a vedere le loro partite e prendendo una marea di appunti.

Rubini non è il solo a studiare oltreoceano. Insieme a lui c’è anche un certo Aza Nikolic, che con Rubini darà vita negli anni a sfide memorabili tra la sua Ignis Varese e l’Olimpia Milano, per poi passare sulle due sponde bolognesi.

In America il basket è una vera e propria religione. Dalle scuole medie in poi i ragazzi giocano già 40’ a partita. Le palestre sono descritte da Rubini come “luoghi meravigliosi, con un’organizzazione fiabesca”. Se il basket è un culto, l’allenatore è “il dio della pallacanestro americana. Attorno a lui ruota tutta l’attività”. A quei tempi infatti è il coach a decidere il calendario, a designare gli arbitri e prendere decisioni che oggi, fortunatamente aggiungo (ma allora il problema non esisteva), spettano ad una Lega esterna.

Rubini resta folgorato dall'atletismo visto in campo

Rubini resta estasiato anche dall’atletismo che vede in campo. Assiste al torneo di Capodanno a New York e alla partitissima Est-Ovest dei pro, che lui paragona al derby della madonnina Milan-Inter: “…ho visto quattro Olimpiadi…Ma lì era davvero un’altra cosa. Squadre di Università hanno dato una dimostrazione tecnica, uno spettacolo di gioco quale non credevo si potesse vedere…”. E’ presente quindi ad un duello d’altri tempi: Russel-Chamberlain, “…Russel è il più atleta di tutti…certi palloni strappati a Chamberlain al di sopra, molto al di sopra dell’anello di ferro, meritano di entrare nell’enciclopedia del basket…”.

Rubini conclude il suo report trasmettendo tutto l’entusiasmo di chi ha visto la luca, la strada giusta da percorrere: “...vorrei raccontarvi tante cose ma in un articolo come si fa?...Bisogna farli venire in Italia, quei fenomeni. Bisogna farli venire a giocare fra noi e con noi…Altrimenti ci sarà sempre una distanza cosmica tra noi e loro. Io cosa volete che racconti? Non posso che dare una pallida idea di quel che fanno. Tutti invece debbono poter apprendere ed entusiasmarsi, come ho appreso e mi sono entusiasmato io.”

N.B. rivisitazione del passato a cura di Francesco Ferrari

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