Un Mondiale senza birra, con i tifosi finti in un paese senza tradizione calcistica. Non c'entra molto la questione nostalgici contro modernisti, qui è un fatto di buon senso: voto “no” a Qatar 2022. La competizione più importante della storia del pallone che parte oggi, ha svenduto la sua anima per 30 denari: si gioca in inverno, in orario lavorativo e per giunta senza la nazionale italiana. Non che io sia patriottico o interessato alle vicende di Mancini e soci, ma credo ci sia un limite a tutto. 

Sport e business possono coesistere, e lo spiega il successo della Premier League o le storie che ancora il pallone regala come quelle dell'Atalanta di questi anni, del Leicester del 2016 e magari nel prossimo futuro un nuovo Napoli che rinverdisce i fasti di Maradona. Ma qui siamo andati oltre: Qatar 2022 rappresenta il mondo che sta cambiando, dice una volta in più come il Golfo continua a divenire sempre più centrale nello scacchiere internazionale.

Sarà l'ultima recita di Messi e Ronaldo, ma anche di Suarez, Modric e Cavani; l'Argentina è favorita, il Brasile anche, ma secondo me salterà fuori una sorpresa come sempre è accaduto: Bulgaria ‘94, Senegal 2002 (a proposito, il capitano di quel Senegal, Aliou Cissé, allena da 7 anni questa nazionale) o la Croazia del 2018, sorpresa fino a un certo punto, ma da pochi pronosticata come finalista. La Francia? Vedremo: l’ultima nazionale a vincere due mondiali di fila risale alla notte dei tempi, ovvero Brasile ‘58 e Brasile ’62.

I grandi in scena saranno tutti motivati anche da record personali alla portata: Neymar è a due gol da Sua Maestà Pelé, Kane è a due segnature da Rooney, Giroud, che probabilmente giocherà titolare dato il forfait di Benzema, può superare Henry. Diventeranno i migliori marcatori della loro nazionale, obbiettivo lì da prendere e benzina in più per le giornate qatariote.

Ma se ci saranno dei protagonisti, ci saranno anche dei grandi esclusi. Per i quali proviamo a fare una formazione: Donnarumma, Cuadrado, Skriniar, Alaba, Robertson; Kvaratskhelia, Barella, Verratti, Salah, Osimehen, Haaland. Un “resto d'Europa” che potrebbe ben figurare in Qatar. Quello che inizia oggi sarà l'ultimo Mondiale a 32 squadre e nel 2026, con “United”, ovvero Usa, Canada e Messico che ospiteranno la manifestazione, si inizierà a fine maggio con 48 squadre per concludere il 5 luglio con la finalissima. Nota a margine: tra gli stadi ospitanti, non ci sarà il Rose Bowl di Pasadena, quello di Italia-Brasile del 1994.

Snocciolati i punti cardine di Qatar 2022, due parole sulla questione principale che è sul piatto: diritti umani, morti sul lavoro, risvolto sociale della faccenda. Si è detto e scritto di tutto e la prima cosa sulla quale concordo è che l'assegnazione ai qatarioti è stata sancita il 2 dicembre 2010, per cui di tempo per cercare di impedire l'inevitabile ce n'è stato a sufficienza. Mi torna in mente Juventus-Milan del 2018, Supercoppa Italiana a Jeddah: anche lì cassa di risonanza a volume altissimo sui diritti umani calpestati dagli arabi, ma una volta spenti i riflettori a nessuno è più interessata la questione.

L'unica lettura che mi sento di consigliare per capire meglio Qatar 2022 è il libro di Giorgio Coluccia e Federico Giustini, “Calcio di Stato”, che più che un libro di football è la storia dei paesi del Golfo degli ultimi quarant'anni, e di come lo sport sia divenuto un elemento imprescindibile per “lavare” la propria immagine. Si parte infatti dalla parola “sportwashing”, inventata da Rebecca Vincent, attivista e direttrice delle campagne di “Reporters sans frontiers”, per spiegare come gli eventi sportivi possano ripulire, almeno in apparenza, le nefandezze di Stati quali Azerbaijan, Arabia o il Qatar stesso, a proposito di diritti della persona e libertà di stampa.

Credo che la verità stia nel mezzo: da un lato, abbiamo perso totalmente il significato del calcio come un rito spostandolo sempre di più verso un intrattenimento all'americana fatto di musica pompata negli stadi e impero dei social network in ogni dove. La comunicazione ha fatto il resto, rilanciando il vuoto, notizie senza senso, colme di calciomercato e circoscritte a quelle 5-6 potenze europee oltre che alla trinità Milan-Juventus-Inter del nostro calcio. Parlando di “Premier League” e non di “calcio inglese” (glielo spiegate voi che esistono anche le serie inferiori?), di “predestinati” finiti presto nel dimenticatoio. Inoltre il football ha perso il suo ruolo divulgativo, il suo legame con la società e la sua veste di metafora della vita. 

Dall'altro però, si è giocato ad Argentina ‘78 quando i desaparecidos venivano lanciati in mare senza troppi complimenti e Videla parlava di “libertà” nel suo discorso di apertura del torneo, e mille altre volte i soldi e il potere hanno comprato e cucito bocche. Dobbiamo sforzarci di capire che siamo anche noi siamo parte del business e della recita: l’unico modo per fare davvero qualcosa nel nostro piccolo è tenere la tv spenta, scrivere di altro sui social e non leggere nulla che riguardi il Mondiale. L'indignazione, ormai divenuta una costante nella nostra società, ogni tanto perde di valore per quanto inflazionata: bene o male l'importante è che se ne parli, per cui se davvero siamo indignati da qualcosa non dare ad essa troppo spazio è l'unica cosa davvero importante, se il fine è solo quello. Tradurre questa indignazione in fatti, sarebbe cosa più gradita.

E invece Qatar 2022 darà da mangiare a molti: addetti ai lavori, ma anche influencer e giornalisti. Creare contenuti, rilanciare, scrivere parlare, postare e discutere. ovvero le basi della inquinata società odierna, in un bombardamento di contenuti la maggior parte frivoli e superficiali. A nessuno dunque interesserà delle questioni più profonde analizzate nel libro che ho citato, ma che servirebbero a riempire quel vuoto di cui sopra. In quanti infatti accennano dei “6.500 morti per la costruzione degli stadi”, sapendo realmente di cosa parlano? In quanti sanno davvero perché il PIF ha acquistato il Newcastle? E che cosa ha rappresentato la “kafala” in Qatar? 

Dulcis in fundo, tutte le parole accatastate come una pila di vestiti degli ultimi giorni: raffazzonate, confusionarie, disperate. L'omosessualità che è una malattia mentale, Blatter che boccia il Mondiale perché ospitato in un paese piccolo, Infantino che sfoggia il peggio di sé: prima propone ai capi di Stato un corridoio umanitario nel mese del Mondiale (cioè?), poi nel tentativo di fare l'inclusivo parla di disabili e omosessuali (come se fossero due categorie distinte) finendo per offenderli, e last but not least la lettere indirizzata qualche giorno fa alle Federazioni: “Pensiamo al calcio”. Come dire, non rompete l'anima con le vostre battaglie, ci hanno dato palate di milioni, e dobbiamo giocare. Punto. Insomma, fatte salve tutte le tematiche e lo squallido teatrino andato in scena negli ultimi giorni, credo che tanti agiranno però alla Montanelli: si tureranno il naso e voteranno Qatar 2022.

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