Il 5 marzo 1981 esce nelle sale “Ricomincio da tre”. No, non è un pippone scontato sul titolo del terzo scudetto del Napoli, arrivato con un po' di patema dopo un campionato dominato e una città in festa da marzo: fa solo sorridere che Gaetano, ovvero l'esordio di Massimo Troisi sul grande schermo, stanco della vita provinciale del suo paese, si trasferisce a Firenze. Già, proprio dove nel 2018 l'urlo dei napoletani rimase strozzato in gola dopo l'illusoria vittoria di Torino firmata da Koulibaly, smembrata dallo 0-3 contro la Fiorentina che consegnò lo scudetto alla Juventus. 

Stavolta un altro 1-0 in Piemonte è stato il visto per il terzo scudetto della storia del Napoli, dopo quelli del 1987 e del 1990, con giallo annesso a causa della monetina di Alemao a Bergamo e via dicendo. Non chiamatelo scudetto sociale o politico, e non andiamo a etichettarlo come un riscatto sociale: è un trionfo sportivo, com'è giusto che sia. 

E uno degli artefici principali è un certo Cristiano Giuntoli: uno degli artefici del Carpi salito dalla D alla A, e che ha avuto anche qui l'occhio lungo per costruire una squadra da scudetto a fari più o meno spenti. In un calcio povero di denaro come quello italiano, le idee e l'oculatezza nelle spese sono la base. La stessa ricetta che aveva fatto gioire i milanisti lo scorso anno.

Ottanta punti, solo 23 gol subiti, e 68 fatti, ovvero miglior difesa e miglior attacco. E manca ancora un mese al termine del torneo. Il Napoli smentisce tutti, soprattutto sé stesso e i suoi tifosi che traboccano nelle vie della città: questa estate dopo le cessioni illustri di Mertens, Insigne e Koulibaly, alzi la mano chi pensava a un trionfo così. La dea Eupalla, citando Brera, ha trovato ancora uno splendido modo per fregarci. 

Spalletti aveva fatto giocare bene la Roma, vinto in Russia, riabilitato l'Inter che poi raggiunse lo scudetto con Conte, e ora canta per il suo primo titolo italiano: è l'allenatore più “anziano” ad aver vinto uno scudetto. E' un uomo che non ha paura, che tira una riga e mette in riga, che a Roma è andato pure contro Totti, che da quelle parti è come sfregiare la Monna Lisa. Piaccia o meno, i risultati e i fatti parlano per lui. 

Gli ultimi due titoli sono stati conquistati per la prima volta da due allenatori, Pioli e Spalletti, che in carriera non avevano mai vinto o avevano goduto poco, e da due squadre non pronosticate alla vigilia, nonché con i conti molto più in ordine di tutti gli altri. Riflettiamoci.

La gioia dei napoletani è meritata, dopo 33 anni, la serie B e anche la C, l'arrivo di De Laurentiis nel 2004 e la lenta risalita, ma soprattutto è autentica come è sempre quella di chi non è abituato a vincere. Il Napoli va contro a tutti i principi del paese in cui gioca: palla a terra, velocità, tecnica, bellezza. Il calcio al suo massimo. Perché, con buona pace del marchio difensivista, in Italia si può e si deve vincere così. 

Il calcio è uno sport di squadra, per cui la domandina retorica “Di chi è questo scudetto?” non ha senso d'esistere. Ma una citazione la voglio fare, e vi spiego perché: chiaro che l'uomo del destino sia stato Kvaraskhelia, e per quanto mi riguarda devo pure ringraziarlo anche se non tifo Napoli. 

Perché questo georgiano proveniente da Kazan e sconosciuto ai più, mi ha fatto tornare la speranza: quella per il dribbling, arte sempre più rara insieme ai gol direttamente su calcio di punizione. Kvaraskhelia, con quelle gambine secche e quella imprevedibilità ronaldesca, prova a dribblare, e spesso ci riesce. D'altronde non facevamo pure noi così da piccoli nei cortili e nei campetti? Sia alfiero del dribbling, sempre. Perché a mio parere ci mancano i funamboli alla Savicevic (quando ne aveva voglia…), in un calcio che privilegia movimenti e tattica e sempre meno la giocata individuale, sale di questo sport. 

Dopo 22 anni lo scudetto esce dalla sacra trinità Inter-Juventus-Milan. Le ultime a riuscire nell'impresa furono le romane, nel 2000 e nel 2001. Quando la Roma vinse il suo ultimo titolo, Capello nella stagione successiva dovette tenere a bada un bagno d'amore figlio di quel titolo, molto simile a quello di questa sera: la sfida di Spalletti, ora, è la medesima. Reinventare questo Napoli per vincere ancora. 

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