Lo sport italiano negli ultimi giorni vive sulle ali dell'entusiasmo: prima le imprese di Sinner, poi la notizia che riporta indietro con la mente agli ingaggi di Schumacher o di Alonso e Vettel: Lewis Hamilton in Ferrari dal 2025. L'entusiasmo è la benzina dello sport, profuso dalla gente, dai tifosi, da quel popolo tanto bistrattato unicamente utile come cliente da spremere. Ma ha anche le su controindicazioni.

Hamilton sì, ma la macchina?

Cinquanta milioni l'anno, sommati ai 30 di Leclerc, fanno un investimento di circa 80-100 milioni per il Cavallino sui due piloti. Ma la questione denaro è davvero l'ultimo dei problemi e dei motivi che hanno portato l'inglese in Ferrari. C'è sempre il tema della sfida, dell'ultima occasione da cogliere prima della fine della propria carriera, e anche del fascino di un marchio che al contrario di chi collega gli scarsi risultati in F1 con una crisi del brand, è sanissimo e in salute.

Hamilton

Quello che però sfugge agli appassionati ferraristi è cosa ci sarà sotto al sedile su cui si siederà il pilota inglese tra un anno. Il travaso monumentale di tecnici e addetti ai lavori andati e venuti, la sostituzione di Binotto con Vasseur, con l'ex team principal continuamente bersagliato dai tifosi ferraristi ad ogni figuraccia e mi pare più teneri con l'ex team principal di Alfa Romeo, e soprattutto l'inferiorità tecnica di questi anni, con la sola illusione dei primi mesi del 2022, sarebbero elementi utili per far capire al popolo che sì, va bene il campione del mondo, ma con un mezzo non all'altezza è già capitato nella storia ferrarista che il palmares personale non sia stato sufficiente.

I casi Alonso e Vettel

Era il 2010 quando alla corte del Cavallino arrivò Fernando Alonso, bicampione del mondo nel 2005 e nel 2006; era il 2015 quando arrivò un altro tedesco, Vettel, a Maranello. Ecco, la nazionalità di Sebastian fu addirittura una bocca di fuoco in più sulle speranze ferrariste, senza tener conto che di Schumacher nella vita uno ce n'è stato e uno ce ne sarà. Vettel e Alonso hanno suscitato la stessa fibrillazione e la stessa felicità di queste ore nel popolo ferrarista, ma come tantissimi casi dello sport un conto sono le speranze e le illusioni e un conto i fatti.

Hamilton ha avuto la macchina perfetta per anni, e i recenti sviluppi tecnici che hanno portato la Red Bull a diventare la nuova squadra da battere, hanno tolto i risultati anche a un 7 volte campione del mondo. Non indaghiamo sui perché e sui per come, lavoro degli ingegneri, ma mi riesce difficile pensare come nel 2025, ultimo anno delle attuali regole prima di una nuova rivoluzione targata 2026 con motori ancora più elettrici, la Ferrari riesca a tener testa a un dominio Red Bull ormai segnato anche per le prossime due stagioni, a meno che di cataclismi particolari. 

Un pensiero, come in queste ore accade, viene fatto anche sulla convivenza con Leclerc: non credo sia tanto una questione caratteriale, quanto una sfida non solo per Hamilton ma per lo stesso monegasco: credo che a parità di macchina Leclerc non abbia granché possibilità contro l'inglese, a patto che quest'ultimo mantenga la sua forza mentale e competitiva. Come ha scritto Giorgio Terruzzi nel suo articolo che anticipava l'arrivo di Hamilton, se Leclerc arrivasse davanti a lui sarebbe un grande successo, ed è anche per questo che il monegasco non ha nulla da perdere. 

Professione voltagabbana?

Permettetemi però un sogno: nella Formula 1 ingessata di oggi, che spasso sarebbe una lotta all'ultimo sangue tra i due, in stile Senna-Prost 1988-89. Pretendo troppo, lo so, anche perché, appunto, oggi si va più di guanto che di spada nel circus delle quattro ruote. Quando agli appassionati un po' di gazzarra in più piacerebbe eccome.

E poi, scusate, ma c'è un altro dato sul tavolo: sarà quantomeno curioso vedere tanti di quei ferraristi che lo insultavano sui social e gli dicevano che vinceva perché aveva “fortuna” o chissà quale patto segreto con gli alti vertici della Formula 1 (esilarante la parola "maFIA" comparsa a iosa sui social media ironizzando con la sigla della federazione internazionale) fare invece la fila per un autografo (dura, data la saracinesca che la Formula 1, così come il calcio, ha messo tra lei e i suoi tifosi) o strepitare per una sua vittoria. 

Ci lamentiamo sempre che tutti gli attori dello sport sono mercenari, che cambiano casacca e idea a una velocità da ghepardi, quando in realtà il tifoso è allo stesso modo un voltagabbana. Un concetto spinoso e antipatico per molti, ma che il mio dovere di cronista mi impone di sottolineare. Detto questo, buona Formula 1 a tutti con Hamilton in rosso.

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