Raggiungere il quattordicesimo posto (su 18 partecipanti) nella scorsa edizione dell’Eurolega ha significato, per Virtus Bologna, incassare poco meno di 200.000 € di “minimo” garantito dalla redistribuzione – per merito – dei diritti tv. Olimpia Milano, dodicesima a giugno 2023, ne ha portati a casa poco più di 300.000. Ma il Bayern Monaco dell’accoppiata meneghin-felsinea, Trinchieri e Baiesi, ha prodotto zero, causa il quindicesimo posto ottenuto. I blancos vincitori sull’Olympiacos hanno sforato i 2 milioni. Un possibile piazzamento delle V nere, o delle Scarpette Rosse, al sesto posto finale, varrebbe (annata corrente) 700.000 €.

Le revenues nel basket e nel calcio

Questo sempre restando sul piano meritocratico. Se si passa ad analizzare le revenues derivanti dal cosiddetto “market pool”, ovvero il bacino di utenza dei singoli club, Milano si avvicina ai 2 milioni di €, la Segafredo si attesta sul milione e mezzo. Il Maccabi totalizza più o meno il triplo, Pana e Olympiacos il doppio, lo Zalgiris del neocoach Trinchieri la metà, in fondo alla classifica il Villeurbanne del Poz.

Insomma, se il club di Massimo Zanetti raggiungerà i quarti, fatturerà ai tenutari della cassa 2 milioni e 200.000 €, grosso modo. Non una cifra da strapparsi i capelli, più o meno ci si paga Shengelia. Come funziona, in pratica? In Italia, nel basket, DAZN e SKY, uguale al calcio, si spartiscono diritti e doveri. Con una presenza di Discovery/Eurosport. Ogni paese del mondo segue una sua logica prettamente “televisiva” e un broadcaster, o due, acquisisce la possibilità di trasmettere le gare e personalizzarle con la propria telecronaca.

La Champions League di calcio (e le altre coppe, inclusa la Youth League) viene commercializzata da Team, agenzia pubblicitaria esclusivista, a 3.6 miliardi di € a stagione, fino al 2024. L’ECA, associazione europea dei club presieduta oggi da Al Khelaifi e un tempo, prima del ciclone Superlega, da Andrea Agnelli, ha chiesto che le entrate aumentino sensibilmente con il prossimo rinnovo triennale. E ciò è avvenuto diversi mesi in anticipo rispetto alla sentenza della Corte Europea che ha intimato a UEFA e FIFA il rispetto della (cosiddetta) libera concorrenza.

Al Khelaifi
Al Khelaifi (ph. Image Sport)

Dirette gratuite di tutte le partite sul web: il formata della Superlega

La Superlega (di cui Eurolega è una sorta di “antipasto”, specie per l’ammissione alle licenze pluriennali di club che, di fatto, sono esentati dall’obbligo di vincere le proprie competizioni interne), al di là dei format e delle problematiche da risolvere (citiamo 1) il reclutamento e il pagamento degli arbitri – sono 6, ogni partita - e 2) il VAR in tutti i campi con una control room sul tipo di quella di Lissone per il calcio tricolore: potrebbe, in teoria, anche essere la stessa) ha garantito dirette gratuite di tutte le partite – immaginiamo ampiamente corredate da spot, banner e altre forme di evidenza pubblicitaria -, in onda non su televisioni ma su una piattaforma web (sì, una sorta di DAZN allargata).

Questo sistema potrebbe arrivare a produrre 5 miliardi di dollari all’anno, con un pubblico potenziale di tre miliardi di persone che potrebbero accedere alla piattaforma Unify. E poi ci sarebbe l’opportunità di vendere abbonamenti per chi non gradisce la pubblicità ed è disposto a pagare per vedere le partite, esattamente come succede con Spotify e come capiterà presto con i social di Meta (Facebook e Instagram). E se la National Football League (NFL) negli USA incassa 10,3 miliardi di dollari a stagione dai diritti TV, una cifra che sembra ancora più stratosferica, se si pensa che le competizioni non sono quasi affatto seguite all’estero, beh, sono cifre impossibili da raggiungere?

Dunque, un torneo relegato a poco più di 300 milioni di tifosi potenziali frutta il quintuplo di uno che potrebbe essere seguito fino a 4 miliardi di tifosi nel mondo. Un dato che, se non ribaltato, va quantomeno avvicinato. Quello che si può dire, per chiudere, è che se si giungerà a un accordo (possibile, forse pure probabile) tra Superlega e UEFA, ciò indicherebbe una strada anche agli “apripista” del basket. Che dalla loro “rivoluzione”, morbida e riuscita, stanno ricavando troppo poco.

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