Con Mihajlovic in panchina, Pulgar titolare 15 partite su 17. Poli e Dzemaili si alternavano al fianco del cileno: i due si sono spartiti il ruolo residuoStimolato da un ascoltatore radio, che sottolineava qualche giorno fa come la sostituzione di Pulgar non fosse tutto questo problema, dato che giocavano titolari Poli e Dzemaili, sono andato a rivedermi le formazioni dell'era mihajloviciana dallo 0-1 in casa dell'Inter al 3-2 appoggiato al Napoli alla 38esima giornata. Bene, Erick Pulgar è partito titolare 15 volte su 17. Le uniche due gare mancanti sono state a Udine, quando era squalificato, e in casa col Sassuolo (è subentrato allo svizzero). Per il resto ha giocato sempre. Le due mezze ali oggetto della considerazione del tifoso si sono spartite il ruolo residuo in mediana: Poli è entrato nello starting 11 le prime 5 partite, poi, da Firenze in avanti, altre 4 volte. In totale 9 su 17, sempre con il cileno, tranne, appunto, Udinese e Sassuolo. Dzemaili ha giocato nei primi 11 9 delle ultime 12 apparizioni rossoblu in campionato, pareggiando l'impiego da titolare del collega. In sostanza si può dire che Sinisa è partito dall'idea Poli in coppia con Pulgar per virare su quella Dzemaili. In sintesi, su 34 "caps" della mediana, 15 sono del neo vertice basso viola, 9 del centrocampista trevigiano, 9 del nazionale elvetico e 1 di Adam Nagy, nella indefinibile partita di Bergamo. Quanto all'utilizzo di Pulgar nell'anno di Diawara, '15-'16, evocato dal collega Baccolini su 051, in effetti è stato scarsissimo. Nel girone di ritorno due soli subentri, con Roma e Chievo, e una fila di 13 partite senza vedere il campo. All'andata, sempre impiegato nelle prime 7 gare, spesso in coppia con il colored, perde il posto dopo lo scontro con la Juve,  e sta due mesi senza essere parte degli 11 che giocano. Entra poi una volta da titolare, con il Chievo (in tre occasioni, mister Donadoni, assente il guineano, gli preferisce Crisetig, Brienza e Brighi). Si può ragionevolmente asserire che, all'epoca, il ragazzo fosse poco maturo. Ma anche, forse, che un velo di pregiudizio era calato sulle palpebre dell'allora coach.
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