Il Torino ha perso di misura lo scontro diretto contro l'Atalanta, che adesso dista 8 punti. L'Europa League è ormai un miraggio, ma nelle quattro gare da qui a fine campionato ci sarà la possibilità di valutare il gruppo e fare qualche riflessione in vista della prossima stagione.

-di Alberto Gervasi-

Uno stop che sa di chiusura definitiva. Il sipario che cala sulle speranze di Europa League per il Torino, lascia spazio alle riflessioni che si consumeranno nelle prossime 4 partite in cui ci sarà, comunque, da onorare un finale di campionato che potrà dare tanti spunti per la prossima stagione. La sconfitta di Bergamo spegne i sogni granata e fa affiorare nuovamente i difetti di una squadra che non è riuscita per l’ennesima volta a imporre il proprio ritmo e che, in alcune fasi della partita, ha dovuto fare densità per respingere gli assalti atalantini. Il modulo a specchio (3-4-2-1), pensato e messo in campo da Walter Mazzarri, non ha sortito gli effetti sperati, e il punteggio ha ricalcato perfettamente la superiorità degli orobici per lunghi tratti. Certo è che il Torino ha affrontato la gara probabilmente più importante della stagione senza il suo miglior giocatore fino ad ora, Iago Falque, e con le assenze per squalifica di De Silvestri e Baselli, ma tutto questo non può essere un alibi e, anzi, dovrà servire alla società per la pianificazione del prossimo mercato. L’esperimento di schierare l’acerbo Bonifazi a tutta fascia ha sortito come risultati i due gol fotocopia dei nerazzurri, in cui, in entrambe le situazioni, il giovane ex Spal è parso fuori posizione. La mancanza di un centrocampista dai piedi buoni ha fatto sì che la manovra fosse confusionaria e poco fluente, con tantissimi errori di distanze e tecnica nei passaggi ravvicinati. Edera rimandato, nessuna bocciatura ma un percorso ancora lungo da fare per il prodotto del vivaio granata.Il Torino ha sofferto ed è andato in difficoltà su tutto quello che rappresenta il marchio di fabbrica del gioco della squadra di Gian Piero Gasperini: pressing asfissiante, con i tre difensori centrali che, in fase di impostazione, erano marcati a vista dal trio formato da Gomez, Barrow e Cristante. Il “Papu” ha galleggiato come al solito fra l’esterno e la trequarti, e le sue aperture, oltre che tagliare il campo, hanno fatto lo stesso con la difesa granata, che non ha mai avuto un punto di riferimento offensivo. Anche il giovane attaccante gambiano, gettato per la seconda volta consecutiva nella mischia dal suo allenatore, ha creato parecchie difficoltà ai centrali, dimostrando qualità fisiche, tecniche e grande velocità di esecuzione. Gli esterni della Dea hanno doppiato sulle fasce i loro dirimpettai, e non è un caso che entrambi i gol (di Gosens e Freuler) siano nati da cross dalla destra per l’accorrente dalla parte opposta che, puntuale, non ha dovuto far altro che appoggiare comodamente in rete. L’Atalanta si è dimostrata più forte, oltre che dal punto di vista fisico, anche in quello tecnico, tattico, mentale e motivazionale: il pareggio-lampo di Ljajic, più che gettare sconforto, ha dato la giusta carica per riversarsi in avanti e cercare il raddoppio. Ancora una volta, nei minuti finali e nel tentativo di riequilibrare la gara, la mossa di Mazzarri di imbottire la squadra di attaccanti ha portato a una confusione offensiva e occasioni zero. Lo spostamento di Ljajic, ancora il migliore, in cabina di regia al fianco di Rincon, ha spezzato la squadra in due tronconi, con Niang e Berenguer poveri di idee e movimenti, e Belotti lasciato ancora una volta al suo destino. L’Europa distante 8 punti, a quattro giornate dalla fine, è ormai un miraggio. L’Atalanta, complici gli stop di tutte le altre contendenti, ha piazzato il colpo e dovrà blindare il sesto posto che ha meritato per la continuità di risultati che ha avuto in tutto il campionato. Il Torino, invece, avrà ancora bisogno di crescere, e questa seconda parte di stagione fatta di novità e sogni aiuterà a diventare grandi.
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