“Berlusconi è il grande calmieratore del mercato”. A braccetto non ci sono solo Silvio Berlusconi e Gianni Agnelli, ma anche e soprattutto decenni di storia d'Italia passata e di storia d'Italia che verrà. E' la stagione 1986-87, Berlusconi è da poco padrone del Milan e i due si stanno dirigendo verso le tribune prima di uno Juventus-Milan che finirà 0-0. 

Quella battuta la dice Agnelli a Berlusconi: al di là dei giudizi personali di ciascuno, fa effetto rivedere quel siparietto, fotografia di un momento spartiacque nel calcio, con una egemonia nazionale che stava cambiando. La Juventus dei Platini e dei Boniek che aveva vinto tanto negli Ottanta, stava per lasciare il passo al nuovo Milan di “Sua emittenza”.

Questo è infatti fu il soprannome più in voga dell'imprenditore che aveva dato vita a un impero televisivo che aveva interrotto il monopolio Rai anche e soprattutto grazie a una delle tante figure fedelissime di cui si circonderà nella vita e nello sport: quell'Adriano Galliani incontrato per la prima volta il 1° novembre 1979. “Io voglio avere tre televisioni nazionali, per gareggiare alla pari con la Rai. La sua azienda, Elettronica Industriale, è in grado di realizzare questo progetto?”, si sentì dire il futuro AD del Milan. 

Non c'è stato certo personaggio più controverso e chiacchierato nell'ultimo trentennio. Quello slancio è stato sempre visto come un modo di aggredire e manipolare l'informazione e dunque il gradimento, asservire il popolo svuotandogli la mente con veline e lustrini, bassa cultura e sovraesposizione di grazie femminili. Quello che, a mio avviso, siamo infatti finiti per essere un po' tutti noi in un'epoca così svuotata di valori e di approfondimento.

Ma preferisco di gran lunga restare sull'ambito sportivo: Berlusconi il miliardario, ma anche l'affabulatore che racconta di quando andava allo stadio con suo padre Luigi: “Mi facevo piccolo piccolo con mio padre per profittare di un solo biglietto in due”. Per vedere il Milan, naturalmente, anche se negli anni circolavano chiacchiere sul suo interesse per l'altra parte di Milano, quella nerazzurra. 

Nelle sue memorie, sempre Galliani racconta l'inizio di quella che sarà l'epoca più fulgida della storia del Milan: “Capodanno 1986, a un certo punto Berlusconi se ne esce: ‘E se comprassimo il Milan?’”. Ma Galliani lo avverte: “Lasci stare, butterebbe un sacco di soldi”.

Tredici miliardi per le treccine di Gullit prelevato alla sede della Philips, sponsor padrone del PSV Ehindoven in cui giocava, due per Van Basten, dieci miliardi per Donadoni, addirittura 85 per Rui Costa, ancora oggi l'acquisto più costoso della storia rossonera: mi sia concessa la convinzione che, al netto dei racconti familiari, il Milan sia stato utilizzato certamente come veicolo di propaganda, ma che sul campo abbia certamente centrato la missione per cui era stato rilevato dalla Fininvest. 

Il primo Milan arrivò all'Arena in elicottero nel 1986 sulle note della cavalcata delle valchirie: mai nessuno aveva osato uno show di questo tipo, in pieno stile berlusconiano. Il Milan iniziò a indossare giacche e cravatte, in via Turati fu stesa la moquette rossa, Milanello finì di essere affittato da comuni mortali per i banchetti dei matrimoni. Innegabile la sua determinazione e il suo desiderio di cambiamento, quasi non italiano, in un paese che preferisce restare il più possibile ingessato. Tacconi, allora in forza alla Juventus, disse: “Gli elicotteri gli serviranno per scappare”.

E invece: 5 Coppe dei Campioni, tre titoli mondiali per club, 8 scudetti, quattro Supercoppe Europee e persino quella Coppa Italia che la dimensione internazionale del suo Milan quasi non prevedeva. E, al netto del significato puramente sportivo, l'indice di gradimento sempre più alto, con orde di tifosi divenuti nuovi elettori e alfieri delle sue cose politiche. 

Nel 2004 il Milan rimonta 3-2 in un derby rimasto negli annali, ma l'ingerenza del patron colpisce anche Ancelotti dopo Liedholm, Sacchi, Capello e tutti gli altri. “Ordine tassativo: due punte”. Si dice che chi mette i soldi ha sempre ragione, ma negli anni c'è anche chi non ha gradito le sue toccatine di gomito: chiedere a Leonardo, cosa che accadde anche con il compianto Sinisa Mihajlovic. 

L'epoca più luccicante della storia rossonera ha conosciuto però qualche delirio di onnipotenza: come per esempio a Pescara, nel 1992-93, quando i tifosi rossoneri faticano a trovare i biglietti. Perchè? Poco tempo prima Berlusconi aveva paventato un San Siro tutto in abbonamento, senza biglietti per gli ospiti. Gli abruzzesi ricambiarono subito il favore…

Si è andati spesso al di là, ma la bacheca è lì a parlare per tutti. Di certo il Milan, proprietà di fatto di una azienda di comunicazione, era aperto a giornalisti e comunicatori, con il mitico momento della “sala del camino” a Milanello, luogo d'incontro più confidenziale tra media e club, ben più di una consueta conferenza stampa. Un fiore all'occhiello, in un'epoca oggi diametralmente opposta, con un calcio che si presta poco a lasciare briglie sciolte a chi vuole avvicinarsi per una domanda scomoda, per una intervista in più, per un contenuto particolare in un'epoca in cui eppure i contenuti fioccano e la saturazione delle voci e dei comunicatori è un dato di fatto.

Di Berlusconi resta tutto ciò, ma anche un esperimento fallito: quello della Polisportiva Milan, un altro esempio di spostamento di confini ma stavolta mal riuscito. Baseball, pallavolo, rugby, pallamano, hockey: non solo calcio, ma l'espansione globale del marchio Milan e dei colori rossoneri. Squadre che per un periodo furono anche vincenti: nel volley una Coppa delle Coppe con il Gonzaga Milano, nella palla ovale quattro scudetti con l'Amatori Milano, con mazza e pallina un'altra Coppa Coppe e altri trofei, con l'hockey tre scudetti di fila (negli stessi anni del calcio, 1991-92, 1992-93 e 1993-94) grazie ai Devils Milano. 

Tutto ciò dal 1989 al 1994: poi fu evidente quanto il passo fu più lungo della gamba. Troppi investimenti e un ritorno non adeguato. Gian Paolo Ormezzano cucì una critica al riguardo sulla Stampa del 29 maggio ‘94: “Gli altri sport dovrebbero dire ‘no grazie' a chi accosta loro i miliardi. Non bisogna piangere su ciò che non c’è più e sarebbe meglio non ci fosse mai stato”. Ma non tutto fu da buttare: quella polisportiva aveva in uno dei suoi uomini di punta quel Fabio Capello che ereditò la pesante borsa dei trofei di Arrigo Sacchi, aggiungendone di nuovi.

Comunque la si pensi, l'impatto di Berlusconi nello sport e nella storia d'Italia, è un fatto. Non virtuoso a livello economico nei bilanci delle società, certamente: dal suo avvento, l'asticella delle spese si è irrimediabilmente alzata insieme ai rossi in bilancio, in un'epoca in cui il mecenate che spendeva era la regola e oggi non lo deve più essere, in un percorso di ricerca di sostenibilità del pallone che in Italia, eccetto sporadici casi, è ancora dura da raggiungere. In Berlusconi c'è stato tutto: eccessi e virtù, controversie e barzellette, coppe e onnipotenze: ora che non c'è più, il tempo e la coscienza di ciascuno, gli daranno la definitiva dimensione.  

 

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