L'ex general manager della Roma, Tiago Pinto ha parlato a INews in cui ha parlato  dell'incarico lasciato nello scorso mercato di gennaio:

"Ho pensato molto a quando avrei lasciato la Roma, sentivo che era il momento giusto, la fine di un ciclo. Ma tutti quelli vicini a me mi hanno detto che conoscendomi dubitavano che avrei trovato la pace. E probabilmente avevano ragione... Il mio percorso nel calcio è stato molto diverso rispetto alla maggior parte delle persone. L'inizio al Benfica è stato molto difficile, sentivo così tanta pressione... Tutta la mia famiglia tifa il Benfica, ma piano piano ho imparato grazie anche al presidente e all'allenatore".

Tiago Pinto e  la grande occasione con la chiamata della Roma nel 2021

"È stata una grande sfida, mi piace vivere il rischio"

Ora che è senza impiego, Tiago Pinto è stato accostato a un possibile futuro in Premier League, con il Newcastle: 

"Se un grande club come il Newcastle chiede di parlarti, non puoi che essere interessato. Conosco bene la storia del club, in Portogallo sir Bobby Robson era una grande personalità. Il lavoro della nuova proprietà è impressionante: grazie a una strategia intelligente sono passati dalla lotta per non retrocedere alla Champions, c'è un potenziale enorme. Non so se l'interesse sia vero o meno, ma chi direbbe di no a un progetto del genere?".

Prosegue quindi Pinto illustrando il suo metodo: "Non sono il tipo che arriva in un club e licenzia tutti nominando le persone che vuole. Non è il mio stile, un club è migliore se c'è un ambiente sereno e con tutti allineati. Ci sono tre o quattro elementi chiave per me: il primo è l'accademia, gli scout della prima squadra devono assolutamente conoscere il settore giovanile. Per mentalità non prenderei un giovane dall'estero se ho già in rosa qualcuno con lo stesso potenziale. E se il mio scout non lo sa non capisce cosa sta facendo. Credo nello sviluppo. Le squadre che vincono di più sono quelle che pensano di più ai dettagli. Su questo sono testardo. Certo, richiede molta energia. Infine voglio che le persone siano allineate, non mi piace il conflitto. Forse è un difetto, ma secondo me se siamo più uniti tra tutti i reparti ci avviciniamo al successo".

Tiago Pinto su Mourinho 

Le parole di Pinto su Mou:

Mourinho
Mourinho 

 "Lavorare con un uomo dal profilo così importante è impegnativo. Ed è esigente, avendo vinto così tanto ha standard elevati. Io ho iniziato a lavorare con lui quando avevo 36 anni: per un giovane direttore lavorare normalmente con Mou non è possibile. Ho imparato molto da lui, è uno degli allenatori più importanti della storia. Il calcio ha dei cicli, a volte sei d'accordo e altre no, ma nessuno può minimizzare il grande impatto che ha avuto a Roma. Quello che ti colpisce ogni giorno è cosa significa per le persone. Che tu sia a Londra, Reykjavik, Dubai o in qualsiasi altro posto, è qualcosa di straordinario. Difficile trovare qualcuno che tocchi il cuore della gente come lui, per quanto altri hanno vinto tanto o anche più di lui. Un esempio: giocavamo in Conference a Sofia, novembre, con un tempo terribile. Nevicava e faceva molto freddo, abbiamo vinto 3-2 una partita che ha portato brutte sensazioni. A mezzanotte, uscito dallo stadio, c'erano 100-200 persone che lo aspettavano e gridavano per lui. È andato lì, ha fatto foto e autografi, io lo guardavo dal bus e pensavo come si stesse prendendo un quarto d'ora per questa cosa, con tutti che congelavano. Sembra un dettaglio ma alla fine lavoriamo per le persone e questa è la cosa più speciale di Mourinho".

Si sofferma quindi su altri aspetti del suo lavoro a Roma:

 "A volte solo il numero di maglia fa la differenza. Quando abbiamo ingaggiato Abraham era vicino a firmare per altri club, ci siamo assicurati di avere una maglietta con il suo nome e il numero che avrebbe indossato, la prima volta che l'abbiamo incontrato"

. Gli agenti sembrano apprezzare lo stile di Pinto: 

"Cerco di essere metodico, non sono il tipo che chiama tutti dicendo di essere interessato e lavora però su un sacco di accordi insieme. Una volta un agente mi ha detto che sono l'unico ds a dire subito se non mi interessa". Conclusione sul Fair Play Finanziario: "Per me non è un nemico. Influenza il lavoro ma non ne è un ostacolo, bisogna guardare globalmente. Per proteggere il calcio servono regole e sostenibilità. Credo in questi principi e nel dover spendere meno di quanto generi. Queste regole cambiano il ruolo del ds: se fino a dieci anni fa ci si pensava come a chi guarda le partite, seleziona i giocatori e fa trasferimenti, ma è completamente diverso. Devi conoscere le leggi e saperti sedere allo stesso tavolo di esperti di finanza, avvocati e capire tutto. Il Fair Play Finanziario è necessario e inevitabile, stimola la creatività".

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